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Considera l'intangibile

Oltre le soft skills: verso il manager “spirituale”

di Federico Frattini (20/10/2020)


Che le soft skills, per le professioni manageriali, siano un fattore decisivo è ormai accettato (quasi) da tutti. Paradossalmente, infatti, la velocità e la pervasività del progresso tecnologico hanno determinato una sorta di rimbalzo in cui hard skills ultraspecifiche, ma a rapida obsolescenza, si sono viste rubare una parte della scena da competenze più universali e durature. Le soft skills, appunto, quelle capacità che permettono di interpretare e gestire al meglio il cambiamento innescato (o reso possibile) dalla tecnologia.

Pensiero analitico, doti relazionali, creatività e disposizione all’apprendimento continuo sono caratteristiche di cui nessun manager oggi può permettersi di fare a meno. Il giusto mix fra hard e soft skills è un bagaglio necessario e irrinunciabile. Detto questo, credo però che si possa compiere un passo ulteriore, introducendo un nuovo elemento che ha a che fare con una sfera più profonda.

In tutti gli aspetti della vita, i nostri comportamenti non sono influenzati solo dalle nostre conoscenze e dal nostro modo di ragionare, ma anche da fattori intangibili, immateriali, diciamo anche irrazionali, intimamente umani. Del resto, non siamo macchine ma persone, e come tali fatte sì di testa ma anche di cuore e di pancia. E di qualcos’altro, che alcuni chiamano spirito, altri anima, altri ancora non chiamano in alcun modo, ma non per questo ne sono privi.

Per comodità o per cultura, tendiamo a far finta che questa dimensione non esista, così la trascuriamo o la soffochiamo. Ma è un errore: l’immateriale ha sempre fatto parte della nostra natura, e anche se viviamo in un mondo dominato dal pensiero razionale, tutti conserviamo dentro di noi una forza misteriosa che ha un peso rilevante in tutto ciò che facciamo. Perché allora non prenderne atto e regolarci di conseguenza?

Sgombro il campo da un possibile equivoco: non sto certo parlando di rinunciare al pensiero razionale a beneficio di approcci istintivi o mistici. Credo però che aggiungere questo aspetto al nostro abituale bagaglio di esperienze e competenze ci possa dare una marcia in più. Rendendo le nostre scelte e le nostre interazioni con gli altri più complete, organiche e somiglianti a quello che siamo davvero.

Del resto, la divisione netta fra materiale e immateriale per certi versi è superata, e a dircelo non è qualche improbabile guru, ma la scienza stessa. La fisica quantistica ci insegna che c’è un livello in cui l’oggettività della misurazione non si distingue più dalla soggettività della percezione. Le neuroscienze, al contempo, dimostrano l’esistenza di un fondamento biologico per la spiritualità.

Miti, simboli, archetipi… cosa c’entrano con il lavoro di un manager? La mia risposta è: molto più di quello che si potrebbe credere. Saper governare la nostra essenza più profonda – o perlomeno essere consapevoli di quanto sia incisiva nelle nostre vite – ci permette una lettura della realtà molto più ricca e sfaccettata rispetto a chi pensa che i comportamenti umani rispondano a una semplice meccanica di causa ed effetto. Sono convinto che la capacità di incorporare questi aspetti “filosofici” nel nostro modo di pensare possa avere una ricaduta molto concreta e misurabile sul nostro lavoro.

L’immateriale non ha a che fare con ciò che sappiamo, ma con ciò che siamo. Oppure con ciò che sappiamo senza che nessuno ce l’abbia insegnato, con la nostra dotazione iniziale di valori e credenze. Per impadronirci di questa dimensione, quindi, dobbiamo soprattutto imparare a guardarci dentro. E anche questa, in fondo, è una soft skill.


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